In tempi di pandemia, è particolarmente utile vedere questo film coraggioso e vero, che parla di un’emergenza sanitaria gravissima, ma di quelle che, per ragioni di immaturità culturale del nostro mondo, non allarmano come un virus.
Le motivazioni sono molteplici: la prima è che il pericolo di cui ci parla il regista Todd Haynes (lo stesso del favoloso Carol, del 2015), derivante da una contaminazione chimica messa in atto da una multinazionale a tutti nota (la DuPont), è invisibile agli occhi e agisce in modo latente e letale nel tempo; attraverso le acque, delle falde, dei fiumi: quelle destinate a uomini ed animali, all’alimentazione e ai più svariati uso domestici.
La seconda è perché, troppo spesso e davanti ai nostri occhi, le ragioni della produzione e dell’economia sono più forti di quelle della salute e dell’ambiente.
Poi c’è un ulteriore motivo: di solito nessuno crede a chi, non avendo potere e denaro, denuncia un abuso a carico di soggetti dotati di potere e denaro. La storia di Davide contro Golia che si ripete all’infinito, e che vede spesso sconfitto Davide, diversamente dal mito. Il protagonista è un avvocato, appena diventato socio di un importante studio di Cincinnati, nell’Ohio. Lui, Robert, è un esperto di diritto ambientale: ma fino a quel momento ha sempre e solo difeso gli inquinatori, consentendo loro di non sobbarcarsi i costi di bonifica e di continuare impunemente ad arricchirsi risparmiando sulla salute delle persone e infischiandosene delle conseguenze letali delle loro attività sulla natura e l’ecosistema.
Accade che una mattina il passato fa irruzione nella sua vita apparentemente perfetta, di professionista schierato dalla parte di chi vince sempre, a dispetto di ogni responsabilità. Il passato che viene dal suo paese di origine, West Virginia, a poche centinaia di miglia; da una terra di allevatori e contadini, gli ultimi, quelli che non riescono mai a farsi ascoltare; che a causa di una contaminazione letale, stanno perdendo tutto.
Le mucche malate e morte a centinaia sono la punta dell’iceberg.
Inizia una discesa agli inferi costellata di porte in faccia: quelle che si ricevono quando si osa “ribellarsi” ad un ruolo, ad un sistema di potere, ad un ambiente di “gente per bene”.
Il racconto è una parabola, lo scheletro di mille altre storie; da Erin Bregovich in poi. Basta sostituire all’acido perfluorooctanico della DuPont altri veleni, altri rifiuti. E si ottiene la fotografia del nostro tempo, dove gli eroi come Robert hanno la strada in salita e di frequente ne escono con le ossa rotte e conseguenze anche nella loro vita personale.
Mark Ruffalo è bravo e credibile: la sua aria perennemente malinconica ed accigliata lo rende adatto a fare il paladino delle missioni impossibili (lo ritrovate anche nel meraviglioso Il caso Spotlight, di cui avevo parlato qui).
Ho amato questo film, mi ha emozionato e motivato: per me sono 4 ciak
e vi raccomando, se non lo avete visto al cinema (prima della serrata pandemica) cercatelo appena vi è possibile!