Chet Baker, evocato in DOVE NON HO MAI ABITATO dall’archistar Manfredi (l’ottimo Giulio Brogi) che chiede alla figlia di metterlo in play per rasserenarsi. My funny Valentine, brano degli anni ‘30, è uno degli standard del jazz più eseguiti.
Chet Baker, evocato in DOVE NON HO MAI ABITATO dall’archistar Manfredi (l’ottimo Giulio Brogi) che chiede alla figlia di metterlo in play per rasserenarsi. My funny Valentine, brano degli anni ‘30, è uno degli standard del jazz più eseguiti.
Dove non ho mai abitato. Basta il titolo di questo film, che vi consiglio di non perdere salvo che non siate alla ricerca di una pellicola scaccia pensieri, per capire che, al di là della locandina, il racconto è di una negazione. Dell’amore, innanzitutto. Delle proprie autentiche doti e dell’essenza di sé. Della casa come luogo di condivisione di vita. Invece, sfilano davanti allo spettatore, in questa storia, dimore bellissime e ricche, originali e artistiche, una vera gioia per gli appassionati di architettura.
Dentro però, tra quelle mura preziose, i protagonisti hanno esistenze veramente infelici. Eppure Francesca, Manfredi e Massimo, i tre protagonisti, hanno talento da vendere; hanno o potrebbero avere successo e realizzazione. Hanno ricchezza, amici adoranti, mariti rassicuranti, fidanzate accomodanti. Tutti inutili participi presenti, perché loro sono irrimediabilmente soli ed infelici. Come vi dicevo. Il film racconta negazioni. E vedendolo, mi sono domandata perché: il contesto infatti è di grande ed obiettiva bellezza.